"Come la ‘cancel culture’ è emersa ripetutamente nel mio tentativo di girare un film sulla leggenda del tennis Martina Navratilova”. L’articolo è di Glenn Greenwald e spiega, attraverso una storia emblematica, come l’ortodossia trans sia riuscita a calpestare anche la reputazione di una icona gay come l’ex campionessa di tennis, vincitrice di diciotto titoli del Grande Slam e omosessuale dichiarata. “Le denunce della Navratilova come bigotta anti-trans sono state istantanee, rapide e brutali, e non hanno reso merito della sua vita, la devozione pionieristica all’uguaglianza Lgbt, inclusi i sacrifici che Navratilova ha fatto avendo avuto una donna trans come allenatore decenni fa quando le donne gay, per non parlare delle donne trans, erano invisibili” scrive Greenwald. “Tutto quell'attivismo e quel coraggioso sacrificio per le sue idee sono state spazzate via con un solo tweet”. Navratilova è stata anche espulsa da Athlete Ally. Destituita dal ruolo di ambasciatrice e consigliera dell’organizzazione americana che si batte per gli sportivi gay, dopo che Navratilova ha criticato la partecipazione di atlete transgender alle competizioni femminili. Aveva definito “folle” e un “imbroglio” che atlete trans abbiano “ottenuto onori come donne che sono oltre le loro capacità come uomini”. “È sicuramente ingiusto”, aveva scritto la Navratilova sul Sunday Times, “per le donne che devono competere contro persone che, biologicamente, sono ancora uomini. Sono felice di rivolgermi a una donna transgender in qualsiasi forma preferisca, ma non sarei felice di competere contro di lei”.
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