editoriali
La Repubblic* rovesciat*
Il giornale si scusa perché non ha nel suo sistema editoriale il segno “schwa”
Avvertenza. Anche il sistema editoriale del Foglio, al pari del sistema editoriale del sito di Repubblica, non è in grado di riprodurre il segno grafico della “e rovesciata”, chiamato anche schwa o scevà, nuovo simbolo “inclusivo” per rendere neutro il genere di una desinenza. Quindi vi accontenterete.
Riportiamo, testuale, una “nota” apparsa sul sito di Repubblica qualche tempo fa, in calce a un articolo di Paolo Di Paolo: “Nota de La Repubblica - Sul giornale la versione dell’articolo è corretta. Ma sul sito abbiamo usato l’asterisco anziché la ‘e rovesciata’ perché il sistema editoriale non riconosce ancora il carattere schwa. I nostri tecnici sono al lavoro per superare questo limite (comune a diversi software). È un impegno che prendiamo con i nostri lettori”.
Il Foglio al momento non intende prendere analogo impegno, e certo non per questione di quattrini. Ma che Rep. si senta in dovere di pubblicare una simile nota è degno di nota, e forse un po’ ridicolo.
La vicenda. L’uso della “e rovesciata”, o schwa, o in alternativa di un asterisco (*) per la desinenza neutra è una delle estreme forzature con cui la gender culture sta tentando di cambiare, anche nella grafica, il linguaggio. Ne è profetessa italiana Michela Murgia. A inizio luglio, lo scrittore (con regolare green pass di sinistra) Maurizio Maggiani ha scritto su Rep. un articolo per dichiararsi contro (“Io non sono un asterisco”). Ne è seguito un dibattito, un po’ scettico.
Due giorni fa il filologo classico Maurizio Bettini ha notato un problema inedito per la nostra lingua: si sta proponendo di inserire nell’alfabeto due segni che non hanno suono e che “con ogni probabilità, resteranno privi di un loro corrispettivo fonico reale”. Che è come dire, senza nemmeno scomodare De Saussure, privi di un aggancio nella lingua reale. Un’astrazione, una pura forzatura teorica, diremmo pur senza voler forzare Bettini. Però Repubblica è costretta a scusarsi per non avere, tra i suoi caratteri, anche quelli di un astratto furore.
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