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Editoriali

I social come "radice del populismo". L'idea reazionaria di Recalcati

Redazione

Lo psicanalista rievoca la visione critica di Pasolini sulla televisione e la società dei consumi: la libertà espressiva, secondo lui, attiva dinamiche aggressive e invidiose. È antimodernismo elitario

Massimo Recalcati dà, in un articolo su Repubblica, un’interpretazione singolare del fenomeno dei social, che sarebbero “la radice del populismo”. Parte dal ripescaggio della polemica di Pier Paolo Pasolini contro la televisione, che sarebbe stata l’espressione autoritaria della dittatura della società dei consumi. La visione di Pasolini, tecnicamente reazionaria, considerava l’accesso ai consumi, e quindi la crescita dei redditi popolari, come la cancellazione di una mitizzata società preindustriale, dalla quale  ha tratto ispirazioni artistiche di alto valore, ma riflessioni politiche sostanzialmente retrograde. I social di oggi, che sostituiscono la televisione, sarebbero anche peggio perché “sui social chiunque può scrivere qualunque cosa”.
 

La democratizzazione introdotta dai social avrebbe una “faccia oscura”: “È questo il cuore di ogni populismo, compreso quello mediatico. L’autorizzazione data a tutti di parlare di tutto… attiva potentemente dinamiche aggressivo-invidiose”. È interessante (forse persino preoccupante) il riferimento all’autorizzazione, cioè a una qualche autorità superiore eticamente o esteticamente che dovrebbe avere un potere censorio e selettivo. Naturalmente sui social i cretini scrivono cretinate, ma nessuno è obbligato a prenderle sul serio, e d’altra parte lo si fa anche in tutte le altre forme di comunicazione. Il fatto è che l’evoluzione tecnologica allarga sempre di più la base dei fruitori e degli autori di opinioni, e demonizzare questo processo è la forma attuale dell’antimodernismo pasoliniano, ma anche del Sillabo di Pio IX.
 

La critica radicale alle innovazioni non è un’esclusiva della sinistra, anzi, storicamente è stata la base delle spinte reazionarie. Oggi, un po’ inspiegabilmente, la disponibilità di nuove forme di partecipazione a masse popolari più vaste viene contrastata soprattutto a sinistra, con l’uso spregiudicato del termine populismo, il che fa venire il sospetto che sia proprio la possibilità di tutti di potersi esprimere senza “autorizzazioni” di non si sa chi quello che viene chiamato indebitamente populismo.

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