Ragionevoli dubbi sul “doping di stato”
Davvero la Russia somministrava sostanze dopanti e poi copriva le malefatte grazie a laboratori federali compiacenti e manipolava i campioni di sangue e urine prelevati a chi si sapeva essere dopato? E davvero il ministro dello Sport di Mosca, con l’aiuto dei servizi segreti e del centro di preparazione sportiva nazionale, orchestrava il tutto? Questa è l’accusa della commissione d’inchiesta della Wada (World AntiDoping Agency), che è partita dalle dichiarazioni dell’ex responsabile del laboratorio antidoping di Mosca e che avrebbe poi accertato la positività di almeno 312 sportivi russi di tutte le discipline olimpiche. L’Agenzia internazionale antidoping ha accusato la Russia di “doping di stato”, il Cio ha minacciato l’esclusione degli atleti di Putin da Rio 2016. Il comitato esecutivo però ha preso tempo – la sentenza arriverà entro sette giorni, assicurano – perché “bisogna aspettare la decisione del Tribunale sportivo di Losanna” sul caso dei 68 russi sospesi dalla Federazione internazionale di atletica leggera.
Insomma, tutto è ancora da decidere e da verificare, ma intanto i giornali titolano sul “doping di stato” di Putin. Il rinvio della decisione, quando mancano poco più di due settimane ai Giochi, formalmente giustificata dal vicepresidente del Comitato olimpico Dick Pound – già ex presidente della Wada – dal “non volere incappare in ostacoli giuridici”, tradisce però una debolezza nel castello accusatorio contro la Russia. Se infatti è stato dimostrato, secondo l’accusa, l’esistenza di un programma gestito dall’alto di sistematica somministrazione di sostanze dopanti e di manipolazione dei risultati delle analisi, perché il Cio continua a sostenere che il ritardo della decisione definitiva sia dovuto alla volontà di “preservare gli atleti puliti”? Se la manipolazione è “di stato”, dovrebbe permeare tutto lo sport nazionale, visto che in Russia gli atleti che si gestiscono privatamente sono nemmeno una decina. Se invece esistono eccezioni, allora andrebbero processati i singoli responsabili, non l’intero Comitato olimpico russo, con un tiro al piccione che sembra un tantino persecutorio. Sempre che non si voglia, sfruttando lo sport, continuare nel gioco delle sanzioni e dei dispetti politici a Putin.