La nuotatrice americana Lilly King ai Giochi Olimpici di Rio 2016

C'è un nuovo sport olimpico

Redazione
A Rio le accuse al presunto dopato sono diventate moralismo peloso. Dalla nuotatrice russa Yulia Efimova, umiliata dalla vincitrice fino alle dichiarazioni al vetriolo dell’americano Phelps, una nuova retorica antidoping si è fatta strada tra gli atleti, che lanciano strali contro i colleghi usando il podio come pulpito.

Alle Olimpiadi estive di Rio, un nuovo sport non contemplato dal Comitato olimpico – ma molto seguito dal pubblico – si sta diffondendo: l’umiliazione del presunto dopato. Dalla nuotatrice russa Yulia Efimova, arrivata seconda nei 200 rana e umiliata dalla vincitrice (l’americana Lilly King, che le ha fatto il medio e l’ha attaccata su tutti i media perché “drogata e scorretta”), al cinese Sun Yang, che secondo un nuotatore francese “piscia viola”, fino alle dichiarazioni al vetriolo dell’americano Phelps. Insomma, una nuova retorica di moralismo antidoping si è fatta strada tra gli atleti, che lanciano strali contro i colleghi usando il podio come pulpito.

 

Ci sono buone ragioni che la giustificano. Questa edizione delle Olimpiadi è stata funestata come poche altre nella storia recente da grandi scandali di doping, specialmente quello che ha coinvolto la Federazione russa, il cui schema per l’uso di sostanze dopanti e la falsificazione dei test era orchestrato, dicono le indagini, ai massimi livelli. Ma al tempo stesso questa retorica è più dannosa di quel che sembra. Sally Jenkins, in un editoriale sul Washington Post, ieri consigliava agli atleti americani (e non solo) di astenersi dal jingoismo del “noi siamo puliti, loro no”. Non solo perché non è il momento (non lo è mai) di solleticare contrapposizioni troppo facili, ma anche perché le accuse spesso mancano di contesto. Efimova, per esempio, è stata condannata per doping “non intenzionale”, e poi è finita nella questione tutt’altro che definitiva del meldonio. Gli atleti devono nuotare, saltare, correre. I tribunali sportivi devono giudicare i casi di doping. Entrambi ci risparmino il moralismo.