Il presidente della Juventus, Andrea Agnelli (foto LaPresse)

Rapporti tra Agnelli e gli ultras, quello alla Juve è un processo mediatico?

Redazione

Presunti boss della 'ndrangheta, il presidente bianconero deferito, pillole di intercettazioni su siti e quotidiani. E l'Antimafia che sembra non aver nient'altro da fare

Un'intercettazione che c'è, forse no. Forse è stata secretata. Forse addirittura non si tratta di una telefonata tra le due persone indicate all'inizio, ma tra altri. Insomma come spesso capita quando i processi si celebrano sulle pagine dei giornali prima che nelle aule dei tribunali, il caos è enorme. Rivelazioni "scottanti", pillole di carte processuali, i diretti interessati che apprendono dai media accuse di cui non sono mai stati a conoscenza.

 

La vicenda, stavolta, è quella che riguarda la Juventus. E i presunti legami tra il suo presidente Andrea Agnelli e la 'ndrangheta. O meglio il rapporto con Rocco Dominello, "portavoce" delle curva bianconera, figlio del presunto boss Saverio e finito in carcere con l'accusa di associazione mafiosa. Nello specifico, come ha spiegato il legale di Dominello Ivano Chiesa, "Agnelli e Dominello si sono incontrati più volte, sia a tu per tu, sia alla presenza di altre persone, come spesso accade tra un presidente di una squadra di calcio e il rappresentante di un gruppo ultras. Sono stati incontri leciti, alla luce del sole".

 

Agnelli, pur ammettendo di aver incontrato i tifosi, nega di aver mai incontrato "boss mafiosi". In sostanza il presidente bianconero non sapeva chi fosse Dominello. Non a caso la Juventus non è in alcun modo coinvolta nel processo, penale, nato dall'inchiesta Alto Piemonte che vede coinvolte, oltre al capo ultras, altre 22 persone. Al contrario la Procura federale ha deferito Agnelli per non aver impedito "a tesserati, dirigenti e dipendenti della Juventus di intrattenere rapporti costanti e duraturi con i gruppi ultras, anche per il tramite e il contributo fattivo di esponenti della malavita organizzata" e aver "partecipato personalmente. in alcune occasioni, a incontri con esponenti della malavita organizzata".

 

Ma è qui che scatta il meccanismo, perverso, del processo mediatico. Perché subito dopo il deferimento, su siti e giornali cominciano ad arrivare pezzi di intercettazioni riguardanti il numero uno bianconero. Obiettivo: dimostrare che Agnelli sapeva di trattare con esponenti mafiosi. Che conosceva perfettamente i suoi interlocutori. E quindi anche lui, in fondo, un po' mafioso è. O più semplicemente un valido "supporter" della mafia.

 

Due, per ora, le intercettazioni svelate. Una contenuta nel fascicolo del deferimento in cui, parlando di un altro capo ultras, tale Loris Grancini, Agnelli avrebbe detto: "Il problema è che questo ha ucciso gente". Nella seconda, invece, il presidente, parlando con il security manager della Juventus, Alessandro D'Angelo, avrebbe detto "i fratelli sono arrestati: parliamo con Dominello che è incensurato".

 

In realtà, come spiega Antonio Corsa su Facebook, questa intercettazione è stata secretata. Non si sa bene dove sia. I parlamentari e membri della Commissione Antimafia, Stefano Esposito e Massimiliano Manfredi (entrambi Pd), intervenendo sulla vicenda hanno fatto sapere che “da una nostra verifica sulle intercettazioni trasmesse dalla procura di Torino alla commissione, non abbiamo trovato traccia della stessa”. A parlare, poi, non sarebbero Agnelli e D'Angelo, ma D'Angelo e l'ex dirigente bianconero Francesco Calvo. La conversazione risale al 5 agosto 2016 (dopo l'arresto di Dominello avvenuto a luglio) e il contenuto sarebbe questo: "Hanno arrestato due fratelli di Rocco. Noi abbiamo sempre parlato con lui. Lui è incensurato".

  

 

Ma la cosa più grave non è tanto questa. Piuttosto il fatto che l'intera vicenda sia diventata assolutamente centrale per l'attività dell'Antimafia. Che sembra ormai essersi trasformata in un grande talk show. Non a caso il direttore generale della Figc, Michele Uva, attacca: "Sulla vicenda-biglietti, che coinvolge la Juve, non siamo preoccupati: noi dobbiamo occuparci della giustizia sportiva. Però, mi sembra si stia facendo un processo mediatico; occorre che la giustizia ordinaria faccia il proprio corso con la massima serenità. Mi sembra che l'Antimafia stia facendo un processo molto mediatico e questo non fa bene né al calcio, né tantomeno all'Italia".

"Ci sono state delle attività che si sono svolte - sottolinea -. C'è in atto una attività penale verso alcune persone dove la Juventus non esiste, non è coinvolta. C'è una attività della Procura federale, dove sono state violate delle norme. Siamo sereni, mi sembra che si stia alzando troppo il volume su una cosa banale e penso che i problemi dell'Italia e della Commissione Antimafia dovrebbero essere rivolti verso attività ben diverse da quelle dei biglietti ad una curva".

 

Immediata la risposta della presidente dell'Antimafia, Rosy Bindi: "La Commissione non fa processi, men che meno mediatici. Di questo si cerchino altrove le responsabilità. Preoccupa che il direttore generale della Federcalcio ritenga che ciò di cui ci stiamo occupando non sia una cosa seria. Ciò che fa male all'Italia sono le mafie, anche quando si infiltrano nello sport, e la sottovalutazione di questo fenomeno. L'inchiesta della Commissione proseguirà a tutto campo".

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