Andrea Agnelli inibito per un anno. Ma la colpa è dei biglietti non della 'ndrangheta
Il presidente della Juventus condannato perché non poteva non sapere che i suoi dirigenti intrattenevano rapporti con i tifosi favorendo il bagarinaggio. Cancellata l'ombra della malavita su cui si fondava il processo mediatico
Il presidente della Juventus Andrea Agnelli è colpevole. Ed è stato condannato ad un anno di inibizione e 20 mila euro di ammenda. Ad emettere la sentenza, di primo grado, il Tribunale federale della Figc. Condannati, insieme a lui, anche gli altri dirigenti della società bianconera a processo. Per i difensori del “teorema Davigo”, secondo cui anche gli innocenti sono colpevoli, applicato al calcio, probabilmente bastano queste poche righe. Condanna, colpevole, inibizione, Juventus, Andrea Agnelli. Tutto quello che hanno sognato per anni racchiuso in poche frasi. Conferma definitiva di anni e anni di teoremi più o meno strampalati.
Poi, per chi vuole, c'è la realtà dei fatti. Tredici pagine di sentenza che spiegano perché e di cosa Andrea Agnelli e colpevole. La vicenda risale alla scorsa primavera quando il presidente della Juventus finì sotto accusa per i suoi rapporti con gli ultras. La dirigenza bianconera, secondo la giustizia sportiva, aveva intrattenuto rapporti con i tifosi favorendo il bagarinaggio di biglietti e violando il codice di giustizia sportiva. Accusa aggravata dal fatto che alcuni dei referenti della tifoseria erano presunti 'ndranghetisti. Tradotto: favorendo l'attività di bagarinaggio la Juve aveva di fatto finanziato associazioni malavitose.
La cosa, ovviamente, fece molto scalpore. Poco a poco, però, il processo ad Agnelli e alla Juventus cominciò ad assumere i connotati del classico processo mediatico. La società, infatti, non aveva mai contestato l'accusa sui biglietti spiegando che si trattava di rapporti per lo più finalizzati alla tutela dell'ordine pubblico all'interno dello stadio. Ma a nessuno importava granché. L'importante era confermare i rapporti con la 'ndrangheta. Per questo motivo anche la commissione Antimafia decise di occuparsi della vicenda. Con scarsi risultati.
E infatti alla fine, nonostante la procura federale rappresentata da Giuseppe Pecoraro avesse chiesto una condanna di 30 mesi, Agnelli è stato condannato a soli 12 mesi. Perché non poteva non sapere. La sentenza infatti parla di “gesti accondiscendenti posti in essere in favore della tifoseria che siano stati quanto meno tacitamente accettati dalla presidenz”. Insomma, Agnelli “nulla ha fatto per evitare il perpetrarsi di tali gravissime condotto”. E ancora: “può ritenersi che l'Agnelli, con il suo comportamento abbia agevolato e, in qualche modo avallato o comunque non impedito le perduranti e non episodiche condotte illecite poste in essere da Calvo e conseguentemente dal D'Angelo e dal Merulla (i tre dirigenti della Juventus condannati ndr)”.
E la 'ndragheta? Semplicemente non c'era. O meglio, come sostenuto fin dall'inizio, Agnelli e la dirigenza juventina non avevano alcuna “consapevolezza” dell'appartenenza malavitosa dei tifosi che incontravano. “Tale frequentazione - si legge nella sentenza - avvenne in maniera decisamente sporadica (il riferimento è ai rapporti tra Agnelli e Rocco Dominello ndr) ma soprattutto inconsapevole con riferimento alla conoscenza del presunto ruolo malavitoso dei soggetti citati. Del resto risulta per tabulas che la notizia ufficiale riferita alla presunta appartenenza dei citati soggetti a cosche illecite, venne resa pubblica in epoca successiva rispetto ai rapporti intercorrenti tra la dirigenza e la tifoseria, e che non appena appresa la notizia connessa allo status malavitoso, ogni contatto ebbe immediato termine”. Tra le accuse cadute anche quella di aver agevolato l'introduzione di striscioni e materiale pirotecnico vietati in occasione di Juventus-Torino del febbraio 2014.
Anche se condannato, Agnelli resterà comunque presidente ma non potrà accedere agli spogliatoi né rappresentare la Juventus all'interno degli organi federali.
Ovviamente non finisce qui. Il procuratore Pecoraro si dichiara “parzialmente soddisfatto” ma annuncia ricorso: “I fatti sono talmente gravi che secondo me andavano sanzionati di più. Credo sia utile la valutazione di un'altra corte, tenendo presente che le risorse derivanti dal bagarinaggio sono andate alla criminalità organizzata,e questo è gravissimo”.
E ricorso annuncia anche la Juventus. “Confidavamo nel proscioglimento del presidente, ovviamente la sentenza ci delude, anche se ha ridimensionato le accuse della Procura - sottolinea uno dei legali di Agnelli, l'avvocato Franco Coppi -. Ora non possiamo nascondere la delusione. Appello? Certamente lo presenteremo, ora parlerò della sentenza con il mio collega Chiappero e con il presidente Agnelli”. Mentre la società affida il proprio commento ad un comunicato: “Juventus Football Club, preso atto dell’odierna decisione del Tribunale Federale Nazionale, preannuncia ricorso presso la Corte Federale di Appello nella piena convinzione delle proprie buone ragioni, che non hanno ancora trovato adeguato riconoscimento. La società esprime la propria soddisfazione perché la sentenza odierna, pur comminando pesanti inibizioni nei confronti del Presidente e delle altre persone coinvolte, ha 'dopo ampia valutazione del materiale probatorio acquisito' (cit. pag. 11 della sentenza) escluso ogni ipotesi di legame con esponenti della criminalità organizzata. Juventus Football Club ha fiducia nella giustizia sportiva e ribadisce di aver sempre agito in un percorso condiviso con le Forze dell’Ordine con l’obiettivo di contribuire alla piena salvaguardia della sicurezza e dell’ordine pubblico”.