editoriali
Niente moralismi sul caso Lukaku
Buone ragioni per contendersi talenti anche con disinvolte politiche fiscali. Un commento sul possibile ritorno dell'attaccante belga all'Inter
Romelu Lukaku, attaccante belga, punta del Chelsea, potrebbe tornare all’Inter, squadra con cui un anno fa ha vinto lo scudetto, e l’operazione potrebbe essere favorita da una norma fiscale contenuta in uno dei decreti crescita (per usufruire ancora del decreto crescita l’Inter dovrà riportare Lukaku in Italia nello stesso anno fiscale in cui ha lasciato il club, definendo quindi l’operazione entro fine giugno). Il calcio è il luogo delle opinioni più libere, quindi non diamo giudizi (ieri mattina l’amministratore delegato dell’Inter, Beppe Marotta, ha incontrato l’avvocato dell’attaccante in centro a Milano). Ma il fisco si presta al ragionamento critico e logico e la possibile operazione Lukaku offre qualche spunto. All’origine della norma c’era l’obiettivo di attrarre talenti, qualità, capacità, competenze. E l’incentivo fiscale allineava l’attrattività dell’Italia a quella degli stati fiscalmente più competitivi.
L’effetto negativo sul gettito è limitato, perché andrebbe sempre paragonato non al mondo con Lukaku, contribuente pieno e il cui ingaggio è sottoposto pienamente a prelievo in tutte le sue fasi, ma al mondo senza Lukaku in Italia. Certamente ci sarebbero squilibri e ingiustizie comparate con altri calciatori, interessati da operazioni Italia su Italia, ma l’esperienza mondiale mostra che i vantaggi complessivi sono maggiori e che in un economia aperta, come quella europea, le opportunità fiscali nei movimenti interni all’area del mercato unico sì compensano tra i diversi paesi, offrendo però buone occasioni a privati cittadini e imprese. Insomma, è meglio un’Europa che, senza arrivare al dumping, compete per acquisire i migliori rispetto a un’Europa molto equa fiscalmente ma non attrattiva in nessuno dei suoi paesi membri. Poi, certo, sarebbe bene attirare da queste parti anche talenti e competenze generativi non solo di canti sugli spalti ma anche di altre competenze e di lavoro. Non è però spegnendo l’urlo del bomber di ritorno che si ottengono questi risultati. Anzi, un po’ di buon calcio aiuta a fare meglio il business.