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Nessuno tocchi la privacy (interna) di Facebook: le falle del social network e il caso Khanna

Redazione
Lo studente di Harvard non farà uno stage per Zuckerberg dopo aver reso disponibile un'applicazione per Chrome che metteva sfruttava una falla della privacy della chat Messenger. Non è la prima volta che Menlo Park punisce chi esterna le disfunzionalità del social network.

La questione è il non rispetto degli "alti standard etici del gruppo", nient'altro. Una mancanza grave per un'azienda come Facebook, che fa dell'osservanza di certe regole comportamentali un fattore di principio. E così Aran Khanna è stato fatto fuori ancor prima di entrare. Il ragazzo, studente a Harvard, non farà lo stage a Menlo Park come era già stato concordato con l'università, mancano le basi sulle quali fondare un rapporto di fiducia, fanno sapere da Facebook. Il casus belli è la creazione da parte dell'informatico di un'estensione, ossia un'applicazione aggiuntiva per il browser Chrome – Marauder's map –, che permette di seguire gli spostamenti dei propri amici sul social network sfruttando una falla di Messenger – la posizione geografica di ciascun utente che veniva automaticamente aggiunta durante la fase di spedizione di qualunque messaggio –, la chat legata alla creazione di Mark Zuckerberg. Ma l'errore imperdonabile dello studente è stato quello di non aver segnalato il problema direttamente alla direzione, ma di aver reso disponibile il download dell'applicazione a tutti sul proprio blog.

 

E' stato però il successo del plugin, che in pochi giorni è stato scaricato da oltre ottantamila utenti, a mettere nei guai Khanna. Uno sgarbo imperdonabile per Facebook, che ha agito di conseguenza, prima intimando al ragazzo di cancellare il post, eliminare l'estensione e non parlare con la stampa, e poi rescindendo lo stage in azienda. Poco importa se il lavoro dello studente ha permesso di scovare un falla nella sicurezza delle chat che condividevano automaticamente e senza esplicito consenso da parte dell'utente la geolocalizzazione del messaggio, un comportamento del genere non può essere contemplato.

 

Sulla privacy infatti Zuckerberg non transige, soprattutto per quanto riguarda quella dei problemi interni del social network. Parlare di cosa non va in Facebook è tabù, pena il licenziamento. Non è la prima volta che viene applicato a un dipendente o stagista il "metodo Khanna". E' il 2009 quando un articolo del Washington Post mette per la prima volta in discussione le policy relative alla privacy utilizzate dal social network. L'articolo cita alcuni virgolettati di un collaboratore di Zuckerberg che parla di un "sistema fumoso" di controllo e alcuni dati sensibili utilizzati a scopo di database per la vendita di pubblicità. A Menlo Park viene fatta un'indagine interna, viene individuato la gola profonda e licenziato per giusta causa. Nessuno obietta, nessun ricorso.

 

[**Video_box_2**]Nel 2013 è ancora uno stagista a finire nella tagliola di Facebook. Anche qui il problema sta nel non rispetto degli "alti standard etici del gruppo". Uno studente di ingegneria informatica da nemmeno un mese nella Silicon Valley fa l'errore di pubblicare sul suo blog un estratto della sua tesi che tratta di social network e giochi online. L'analisi parte dai dati pubblici di Facebook e di Zynga, società specializzata nello sviluppo di videogiochi sulle piattaforme di social networking, per mettere in evidenzia come per lo sviluppo dei videogame della seconda siano utilizzati i dati degli utenti forniti dal primo. Nessuno si scandalizza, lo sanno tutti che succede così, ma essendo il passaggio di informazioni non consentito dalle policy, Facebook è costretta a un cambiamento di queste e a scusarsi con gli utenti. Quanto basta per rescindere anche in quel caso lo stage. Perché la privacy è sacra a Menlo Park, soprattutto quella che riguarda la propria strategia aziendale.

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