La Corte di giustizia europea mette nei guai la Silicon Valley
La Corte di giustizia europea ha dichiarato invalido il programma “Safe Harbor”, che consente il trasferimento libero dei dati personali dei cittadini tra società americane ed europee, mettendo così in pericolo i giganti americani di internet come Facebook e Google (ma anche società più tradizionali come le major farmaceutiche) di subire multe e procedimenti legali per importazione illegale di dati.
La battaglia contro il Safe Harbor è nata su iniziativa dell’attivista austriaco Max Schrems, che si è rivolto al garante della privacy irlandese, paese dove Facebook ha la sua sede legale in Europa, contestando il fatto che dopo lo scandalo Snowden gli Stati Uniti non offrono un livello di protezione dei dati personali adeguato, e che dunque le condizioni di base del Safe Harbor sono venute meno.
Dopo la sentenza della Corte le società che aderiscono al Safe Harbor dovranno trovare alternative giuridiche per assicurare che l’interscambio dei dati prosegua senza rischi legali e senza disservizi per gli utenti. Nel giudizio della Corte, nota Politico Europe, non ci sono riferimenti a un periodo di moratoria che consenta alle società che aderivano al Safe Harbor, oltre 4 mila, di trovare alternative legali.
Il Foglio a fine settembre ha raccontato le opzioni a disposizione delle major e le conseguenze della dichiarazione di invalidità del Safe Harbor.