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In principio fu il caso Apple vs. Fbi, che si innestava su una polemica già esistente ma ha aperto il dibattito al pubblico. (Per chi non avesse letto i giornali: la società di Cupertino si è rifiutata di aprire l’accesso dell’iPhone del terrorista che uccise 14 persone a San Bernardino adducendo ragioni di privacy e sicurezza, e l’Fbi l’ha trascinata in tribunale). Poi è arrivata la notizia delle spiate dell’americana Nsa a Silvio Berlusconi, sono arrivate le proposte di legge dei governi francese e inglese che aumentano i poteri degli organi d’indagine a scapito della privacy, è arrivato, grazie allo scoop del Foglio, il caso della “spectre” Casaleggio, che ha avuto accesso ai server dei parlamentari grillini, a loro insaputa. Mai come in queste settimane si è parlato di privacy in termini che non riguardano soltanto la salvaguardia dell’intimo dell’individuo, ma anche il suo difficile e forse impossibile equilibrio con le esigenze di sicurezza, libertà, democrazia. Abbiamo sentito alcuni esperti, analisti e uomini delle istituzioni per chiedere loro se questo equilibrio è ancora possibile. Ecco cosa ci hanno detto.
L’Europa rischia di perdere se stessa
di Antonello Soro
Mentre ancora divampa la polemica sul doppio fronte Apple-magistratura statunitense e Nsa-Governo italiano, Obama promulga una legge (Judicial Redress Act) che estende ai cittadini europei alcune garanzie per i trattamenti dei loro dati da parte delle autorità statunitensi. Legge importante, che sottende la consapevolezza dell’impossibilità di discriminare gli utenti di una realtà globale come quella digitale in ragione della nazionalità, come ha chiarito la Corte di giustizia annullando l’accordo sul trasferimento verso gli Usa dei dati dei cittadini europei. Ma resta il double standard previsto dalla riforma dell’intelligence (Freedom Act), che pur introducendo alcune garanzie rispetto alle acquisizioni di dati personali per fini di sicurezza, lascia fuori, in gran parte di tale settore, i non americani. Idea paradossale, quella di limitare ai soli cittadini un diritto che nasce su quel IV emendamento, voluto proprio per contrastare le ingerenze nella vita dei cittadini già praticate, nel XVIII secolo, dal Governo inglese. Un diritto nato per garantire libertà e autonomia non può conoscere confini e discriminazioni per nazionalità. [continua]
Il dibattito parte da prospettive sbagliate
di Stefano Quintarelli
Definire la polemica intorno a sicurezza e privacy come frutto di una contraddizione è fuori fuoco. Il punto è chiedersi: cos’è la sicurezza? Rispetto anche solo a pochi anni fa, con tutte le tracce digitali che lasciamo, sono a disposizione informazioni sulle persone come mai prima nella storia dell’umanità. Il livello di informazione è altissimo, ma questo non corrisponde a una percezione di un maggiore livello di sicurezza. In questo senso, bisogna riconoscere che il dibattito non è tra privacy e sicurezza, ma tra privacy e raccolta di dati. Il problema è che estrarre informazioni dai dati, utili per ottenere maggiore sicurezza, non è un processo automatico, anzi. Bisogna cercare il classico ago in pagliai sempre più grandi. Si pensi agli attentati del 13 novembre a Parigi: i servizi segreti di molti paesi europei avevano una buona quantità di informazioni sui terroristi, ma non sono riusciti a metterle insieme e a ricavare intelligence adeguata. [continua]
La sopravvivenza dello stato prevale sempre
di Mario Mori
La contraddizione tra sicurezza e privacy è solo apparente. E’ possibile uscirne con una constatazione di fatto. Ci sono interessi superiori a quelli di un’azienda privata o di un cittadino, anche se questi vengono presentati come la difesa della riservatezza del cittadino. La sopravvivenza di uno stato e delle istituzioni statali a mio avviso prevale sull’interesse del singolo. Questo vale anche nei casi di terrorismo nazionale o internazionale come quello trattato nella disputa intorno ad Apple, che rappresentano pericoli esiziali per la sicurezza di uno stato. [continua]
di Piero Tony
Dicono giustamente che per difendere la sicurezza dei cittadini non si può comprimere la libertà e la privacy di nessuno, compresa la libertà d’espressione, ma io sono abbastanza scettico sulla credibilità di queste affermazioni. Sono convinto che la privacy come era intesa anche soltanto vent’anni fa, come garanzia assoluta dell’intimo dell’individuo, sia morta e sepolta da tempo. Personaggi come Kerouac, vagabondi che passano da un luogo all’altro senza essere notati né registrati, oggi non potrebbero più esistere. Il problema ormai non è più preoccuparsi per la violazione della privacy tradizionale, perché il controllo è pressoché totale. Il punto è lo stadio successivo, quello che potremmo definire come privacy di secondo livello, che è l’unica che siamo ancora in tempo a tutelare e che concerne la diffusione degli elementi che emergono dalla violazione della privacy di primo livello. La diffusione comprende naturalmente la pubblicazione attraverso i media, e questo apre il delicatissimo tema della libertà d’espressione, che deve rimanere a tutti i costi sacra, e dell’autoregolamentazione degli organi di stampa. [continua]
La riservatezza non è un’idea immutabile
di Stefano Epifani
Ancora una volta ci troviamo a dover scegliere tra libertà e sicurezza. Una scelta che, in momenti come questo, è troppo facile orientare verso la sicurezza, ma altrettanto miope e pericoloso. Sarebbe ingenuo pensare alla privacy come concetto immutabile. Un esempio? dobbiamo arrivare alla seconda metà del Settecento perché gli architetti introducano il concetto di corridoio. Prima di allora per andare da un punto all’altro della casa era normale passare attraverso le singole stanze. Stanze nelle quali gli inquilini erano presi dalle loro attività quotidiane: mangiare, dormire, lavarsi. Un stile architettonico che accomunava le case dei villani e quelle dei signori. Madame de Maintenon, raccontano gli storici, dormiva nella stessa stanza in cui suo marito Luigi XIV riceveva i ministri: “mentre il re discute le cameriere la spogliano e l’aiutano ad andare a letto”, narrano le cronache. Nulla di strano tutto sommato, se si pensa che pare che il Re Sole fosse aduso ricevere seduto sulla “seggetta”. [continua]
di Alain Chouet
Non bisogna ovviamente rinunciare alle libertà pubbliche e alla protezione della privacy, ma detto questo, in ogni tipo società, il grado di sicurezza dipende dalla quantità di libertà che si è disposti a sacrificare: più libertà sacrificata equivale a più sicurezza, e viceversa. Tutto sta nel capire dove poniamo il cursore tra la libertà e la sicurezza, e questo è il principale problema dei politici. Bisogna però essere tutti consapevoli che non potremo mai avere il 100 per cento di sicurezza se non rinunciamo a una parte della nostra libertà. Alle molte personalità e associazioni che hanno gridato allo scandalo e parlato con toni dispregiativi di “Patriot Act alla francese” a proposito della legge sulla sorveglianza digitale e sui servizi segreti promulgata lo scorso luglio, va detto che era necessaria per far fronte alla crescente minaccia terroristica. [continua]
Più difficile difendersi dagli attacchi
di Tommaso De Zan
La contraddizione tra sicurezza e privacy è al centro di un dibattito pubblico che si sta sviluppando soprattutto negli Stati Uniti, grazie alla presenza di importanti attori nel campo tecnologico (come Microsoft, Apple, Facebook, Twitter etc.), attori istituzionali come Cia, Fbi e Nsa, nonché e una certa maturità di parte dell’opinione pubblica in materia di sicurezza cibernetica, privacy e crittografia. I rischi sono evidenti, e per enumerarli bisogna partire da un discorso di fondo. Le organizzazioni terroristiche hanno cominciato già da tempo a usare strumenti tecnologici per le loro attività: comando e controllo, reclutamento, finanziamento. [continua]
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