Perché Facebook, Microsoft e la Silicon Valley parlano di chatbot
Ieri il ceo di Facebook Mark Zuckerberg, alla conferenza F8 che si tiene tutti gli anni a San Francisco, ha annunciato a un pubblico selezionato di sviluppatori un nuovo settore strategico del grande social network: i chatbot. Dieci giorni prima Satya Nadella, ceo di Microsoft, ha annunciato in una conferenza simile, anticipata da un magniloquente articolo di copertina su Bloomberg Businessweek, che “il futuro di Microsoft” saranno, ancora, i chatbot. Da qualche mese i media di mezzo mondo sono esaltati da Telegram, app di messaggistica, per una sua funzione tutta particolare: i chatbot. I chatbot, ha scritto il Wall Street Journal a dicembre, sono anche al centro dei progetti di Google. Ok, bene, ma cosa diavolo sono i chatbot? Si tratta di piccole intelligenze artificiali – non complesse come quelle che battono i campioni di Go, ma sofisticate a sufficienza da rispondere a tono all’interlocutore – con cui si comunica per iscritto, via chat.
Scriviamo su smartphone (su Messenger di Facebook o sul Telegram, per esempio), con tono colloquiale, che vogliamo dei biglietti per andare al cinema, e il chatbot li compra per noi. Scriviamo di avere voglia di pizza da asporto, e il chatbot la ordina. Nadella l’ha definita “conversazione come piattaforma” ed è l’idea che inizieremo a comunicare con i computer in maniera sempre più informale, chiacchierando con Siri o Alexa (le intelligenze artificiali vocali di Apple e Amazon) o chattando con i chatbot. L’idea che finalmente le macchine diventino davvero capaci di interagire con gli uomini. E’ un mercato promettente, ma socialmente inquietante: aspettiamoci presto di chattare senza che ci sia qualcuno in carne e ossa, dall’altra parte dello schermo.