Le “hate news” su Google
Perché l’algoritmo non può fermare l’odio antisemita su internet
E’ un vecchio gioco su Google: scrivere l’inizio di una frase sulla barra di ricerca e vedere come l’autocompilatore la completa. Spesso escono risultati ilari o assurdi, ma Carole Cadwalladr, giornalista del Guardian, ha provato a scrivere una frase che iniziava con: “Are Jews…”. E tra i primi suggerimenti di Google usciva fuori “evil”: “Are Jews evil”, gli ebrei sono il male? Le gaffe dell’autocompilatore di Google creano scandali da sempre, ma il problema si complica quando Cadwalladr effettivamente clicca su “Are Jews evil” e avvia la ricerca: dei primi dieci risultati offerti da Google (che sono quelli che guarda l’utente comune), nove le dicono che sì, effettivamente gli ebrei sono il male – e a dirlo, promosse dall’algoritmo di Google ai primi posti della ricerca, sono pagine d’odio, in cui l’ebraismo è definito come un culto satanico e gli ebrei trattati in modo indicibile (resiste tra i primi dieci risultati solo un saggio di Tablet Magazine sull’odio antigiudaico). Questo non è un impazzimento dell’algoritmo. E’ il frutto del lavoro di migliaia di siti internet antisemiti che, al pari dei siti commerciali, usano i mezzi a loro disposizione per essere meglio considerati dall’algoritmo e conquistare alte posizioni sul motore di ricerca. E’ comprensibile che questo fenomeno esista (anche per altre categorie, per esempio le donne); meno comprensibile è che Google all’apparenza non faccia niente per contrastarlo. Come per il caso delle “fake news” di Facebook, le “hate news” di Google mostrano che la giustizia imperscrutabile dell’algoritmo ancora non si attaglia al mondo degli uomini, e che strumenti potenti come quelli dati da internet hanno bisogno, almeno per ora, di un qualche tipo di controllo editoriale.
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