Quante storie per un roaming
Gli eurocrati celebrano il “risultato storico”, ma c’è altro su cui lavorare
Il 25 marzo 1957 l’Europa festeggiò la firma del Trattato di Roma. Il 10 giugno 1979 furono celebrate le prime elezioni a suffragio diretto dell’Europarlamento. Il 1° gennaio del 1993 furono solennemente chiuse le dogane per la libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali. A giudicare dal numero di discorsi solenni, tweet e spot, la giornata di ieri è stata un’altra pietra miliare per l’Unione europea grazie a... la fine del sovrapprezzo del “roaming”. “È un risultato storico”, ha detto il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani. “È uno dei successi più grandi e tangibili dell’Ue”, ha dichiarato quello della Commissione, Jean-Claude Juncker. Che la fine del roaming sia tangibile non c’è dubbio. Chi andrà in un altro paese Ue potrà telefonare, scambiare sms e navigare con il telefonino come se fosse in patria. Ma il provvedimento ha anche controindicazioni. L’Ue ha scelto di non far giocare liberamente le forze del mercato, con un triste ritorno al dirigismo tipico delle politiche nazionali. Gli effetti rischiano di essere controproducenti per chi non viaggia spesso oltreconfine: le compagnie telefoniche potrebbero scaricare i mancati guadagni sulle tariffe nazionali o trovare altre scappatoie alle imposizioni comunitarie. Così i principali beneficiari diventerebbero le élite, compresi gli eurocrati che attendevano la data storica del 15 giugno 2017. Il fatto che i leader comunitari si riducano a strombazzare l’abolizione del roaming come se fosse una pietra miliare, è una triste constatazione dell’impotenza europea di quest’ultimo decennio. C’è da augurarsi che, ora che i populisti sono stati ridimensionati, l’Ue si rimetta seriamente al lavoro su progetti più ambiziosi.