E la crisi politica della Silicon Valley?
I giganti tecnologici hanno molti problemi, l’economia non è uno di essi
Ve la ricordate la crisi dei giganti della Silicon Valley? Fino a un paio di giorni fa sembrava verosimile. Tutti i grandi settimanali americani e non solo le hanno dedicato almeno una copertina. Si susseguivano i retroscena sulle crisi di coscienza di Mark Zuckerberg e compagni, la pubblicazione continua di documenti su come gli agenti russi avessero sabotato le elezioni via social, i resoconti delle arcigne sedute alla commissione Intelligence del Congresso in cui i rappresentanti legali di Facebook, Twitter e Google erano torchiati, le descrizioni del lavoro di lobby con cui le società tech hanno cercato di contrastare le conseguenze legislative della crisi, arrivando perfino a mobilitare a Washington una superstar come Sheryl Sandberg. C’è una crisi di fiducia irreversibile, si diceva, ormai anche gli utenti si sono accorti che la macchina di profitti della Silicon Valley è basata su un meccanismo perverso, ci saranno conseguenze a livello di legislazione, l’Unione europea si è già mossa con le sue potenti cause antitrust. Poi escono – giusto in questi giorni – le trimestrali dei giganti tech e la crisi, improvvisamente, sembra non esserci mai stata. Tassi di crescita a doppia cifra, profitti che si moltiplicano, utenti che rimangono fedeli. Google (Alphabet), Twitter, Amazon e Microsoft (manca Facebook, ma arriverà) hanno pubblicato tutti risultati economici eccellenti. La crisi, per quanto più che giustificata, è esistita solo sulle copertine dei settimanali americani o, quanto meno, non ha avuto conseguenze reali. Così la bolla della Silicon Valley può pure continuare a gonfiarsi, mentre quella dell’indignazione è scoppiata. Il rapporto tra tecnologia e resto del mondo va governato da nuove regole, ma per ora la Valley non ne sente il bisogno.