Spotify di cittadinanza
Il “popolo del web” in rivolta perché non può rubare un servizio a pagamento
Il popolo della rete ha iniziato la rivolta contro Spotify, la celebre app musicale colpevole di pretendere dai cittadini onesti un’abnormità: pagare (poco) per contenuti e servizi. Per chi non conosce Spotify: si tratta di una app per smartphone e computer che consente di ascoltare praticamente tutta la musica del mondo (ci sono tutti i cataloghi delle grandi major) gratuitamente (con pubblicità e qualche limitazione) oppure pagando 10 euro al mese. E’ un buon affare, considerando che i vecchi cd costano 10-15 euro ciascuno. Come sempre, però, qualcuno tenta di fare il furbo: da tempo circolano online versioni illegali della app che consentono di ottenere i servizi a pagamento senza pagare. Tecnicamente si tratta di un furto, ma la stragrande maggioranza degli utenti di internet è stata educata male in questi anni: l’idea che se qualcosa è online non vale la pena pagarla e che la pirateria è una forma lecita di diffusione della cultura è radicata in maniera preoccupante. La settimana scorsa Spotify ha deciso di quotarsi in Borsa, e ha iniziato a chiudere gli account illegali e disabilitare le app pirata. E’ stato a quel punto che il popolo della rete si è levato. Su Facebook, su Twitter, nelle recensioni online dell’app, migliaia e migliaia di utilizzatori della app fraudolenta hanno gridato allo scandalo e alla truffa, hanno dichiarato che mai spenderanno 10 euro al mese, e “non ci avrete mai” e “troveremo altre app illegali”. Si sentiva truffato, il popolo del web, perché non riusciva più a truffare. Pagare per la musica (e per i film, le serie tv, l’informazione online) è inaccettabile, avere servizi gratis è un diritto, non importa quante persone hanno lavorato per produrre quel contenuto. Il popolo del web è in fila per il suo Spotify di cittadinanza.