Zuckerberg e la negazione dell'Olocausto
Il ceo di Facebook si è andato a cacciare in un guaio, tra fake news e storia
Immaginate di essere Mark Zuckerberg, ceo di Facebook. La vostra azienda è sotto attacco da ormai due anni per il suo ruolo nella diffusione di notizie false, vi trovate su un terreno difficilissimo mentre cercate di bilanciare difesa della democrazia, libertà d’espressione e conto in banca. Il vostro social network è pieno di notizie un po’ false e un po’ pericolose, nel sud-est asiatico ci si ammazza a vicenda per le bufale d’odio diffuse su Facebook, siete indecisi su cosa fare con complottisti, cospirazionisti, violenti che usano il social network come palco. Avete in programma un’intervista con una giornalista che è un mastino, Kara Swisher di Recode, e quando lei vi chiede di tutti questi problemi voi anziché cercare di svicolare vi mettete a difendere la libertà d’espressione dei negazionisti dell’Olocausto. E’ successo davvero, due giorni fa, durante un’intervista in cui il capo di Facebook ha detto che, per quanto lo riguarda, le pagine facebook che negano la Shoah hanno tutto il diritto di rimanere online fintantoché non producono incitamento alla violenza, in base a una politica delineata di recente in cui le informazioni false hanno diritto di rimanere su Facebook a meno che non incitino alla violenza o all’odio razziale o di genere – male che vada, se le fake news sono riconosciute da professionisti, l’algoritmo degraderà la bufala, senza cancellarla. Questo tipo di approccio può andare bene per chi crede ai cerchi nel grano, poveri diavoli. Ma l’Olocausto, caro Zuckerberg, non può essere trattato alla stessa stregua delle bufale internettiane: la negazione dell’Olocausto non è una semplice “fake news”. Eccolo il peccato originale del social network: vivere in un mondo privo di profondità, in cui la storia e i suoi orrori possono essere calcolati per via algoritmica.