Il semplicissimo principio del copyright
Domani l'Europarlamento vota la direttiva Ue. Perché le piattaforme non capiscono che il lavoro di chi produce contenuti si paga?
Lunedì Wikipedia ha oscurato le versioni europee del suo sito per 24 ore in polemica contro la direttiva europea sul Copyright, che il Parlamento europeo voterà domani. Contestualmente, milioni di utenti di internet (non necessariamente europei) firmavano appelli, e in alcuni paesi come la Germania alcune centinaia di persone sono scese in piazza contro la norma Ue, arrivata al voto in extremis dopo un percorso travagliato e grazie alla collaborazione tra i governi (quello italiano è contrario).
Cosa dice la direttiva? Il principio di base è molto semplice: le piattaforme digitali devono essere responsabili per i contenuti che pubblicano. Il principio è lineare, ed è il medesimo rispettato da sempre da chiunque produca contenuti di qualsiasi tipo: in questo giornale, come in tutti i giornali del mondo, prestiamo estrema attenzione a pubblicare contenuti di cui deteniamo i diritti. Se non li abbiamo, paghiamo gli autori. E se per sbaglio non lo facciamo andiamo incontro a conseguenze pesanti. Perché le piattaforme di internet come Google e Facebook non dovrebbero seguire questa regola semplicissima?
Dice: ma su Google e Facebook sono pubblicati milioni di contenuti al minuto, come si fa a controllare? L’articolo 13 della direttiva, il più contestato, sostiene che è meglio prevenire che curare, ed esorta le piattaforme a stipulare dei contratti di licenza con i detentori di diritto d’autore. Ancora una volta: è ciò che fanno tutti gli operatori, dalle televisioni a chi lavora nel mondo della musica. E se queste licenze non bastano, esistono sistemi algoritmici per filtrare i contenuti illegali. Non è censura: è protezione di chi lavora per produrre musica, film, video, articoli di giornale, fotografie. Lo stesso vale per l’altro articolo contestato, il numero 11, che chiede alle piattaforme di pagare onestamente per gli estratti di articoli che pubblicano. Non è una “tassa”, come dicono i critici, ma corretta retribuzione.
La direttiva sul copyright non fa altro che estendere al mondo digitale princìpi basilari che esistono da sempre nel mondo reale, e qualsiasi differenza strutturale abbia il mondo digitale (non neghiamo ve ne siano) non può prescindere dal fatto essenziale che il lavoro si paga.