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editoriali

Insicurezza da smart working

Redazione

Il rischio sui dati sensibili era noto, ora va ripensata la logica di necessità  

Mentre si discute di come la fisica quantistica possa essere utilizzata contro gli hacker, e l’Fbi si dice pronta a intervenire, sembra (se non è una versione “tranquillizzante”) che ad aprire le porte ai pirati informatici che hanno paralizzato le prenotazioni dei vaccini e sottratto altri dati alla regione Lazio sia stato un pc lasciato aperto, presumibilmente con le credenziali, da un funzionario in smart working, e usato da un figlio magari a fini ludici.

In questa vicenda c’è di tutto, il terrorismo informatico moderna forma di aggressione geopolitica, i gruppi più agguerriti dei no vax che di internet sono espertissimi, l’irresponsabilità personale in una regione che finora si è distinta per efficienza. Ma anche l’uso anzi l’abuso dello smartworking. Ci si deve chiedere per quale motivo di sicurezza contro il Covid quel funzionario – sempre appunto che le cose siano andate così – non sia tornato nel proprio ufficio, dove auspicabilmente l’accesso alle banche dati è più protetto.

Un anno fa, quando lo smartworking sembrava “la soluzione”, il Foglio intervistò la numero uno della sicurezza cibernetica di Leonardo: che spiegò che il lavoro a distanza su dati sensibili era giustificabile solo in emergenza e con adeguate protezioni aggiuntive. Ora che siamo al debutto del green pass si discute in modo surreale se chiedere documenti d’identità sia lesivo della privacy, come se tutto non fosse già contenuto nel codice Qr. Si punta inoltre giustamente a far ripartire, tra poco più di un mese, la scuola in presenza. Tutto tace invece sul riportare al lavoro impiegati e dirigenti pubblici, a partire da quelli che si occupano di questioni delicate quali una campagna vaccinale, ma anche dei registri catastali, delle pratiche di ogni tipo di cui è fatta la nostra burocrazia, cioè la nostra vita. Tutto tace perché lo smartworking è assai comodo per chi lo fa ma anche per chi lo concede. E’ ora di smettere: anche perché milioni di italiani nella manifattura, tra le forze dell’ordine e nel commercio, lo smartworking se lo sono sognato.

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