No, la fake tv no!
Non l’ammazzeranno Netflix e Fb, ma il futuro sarà “total video”. Che cosa s’è detto al convegno del Foglio
Milano. No, la televisione non soccomberà travolta dalle fake news e dal trionfo della post verità. Perché la televisione, sebbene non abbia più la forza di un leone, ha la sua capacità informativa, e soprattutto la sua capacità di prendersi le sue responsabilità. Sì, una volta, prima di scrivere che era morto Breznev, racconta Fedele Confalonieri, se non c’era l’ufficialità si titolava: “Morto Brevznev?”. Oggi non è più così, certo, ma balle, alle televisione, non se ne dicono se non pochettine, va. Caso mai, sono i signori delle piattaforme digitali a doversi dare una regolata, o un regolamento. Perché Google o Facebook, o i loro grandi e piccoli fratelli, sono a tutti gli effetti “editori”, non semplici stazioni orbitanti, e dunque debbono avere la responsabilità di ciò che mettono in rete. E su questo sono tutti d’accordo. Tutti, intesi i partecipanti al convegno di ieri, al Franco Parenti di Milano, organizzato dal Foglio con il titolo “Il futuro della televisione nell’epoca della post verità”. Ovvero, intervistati dal direttore, Claudio Cerasa: Antonio Campo Dall’Orto, dg della Rai; fedele Confalonieri, presidente di Mediaset; Marinella Soldi, ad di Discovery Italia e presidente di Discovery Networks Southern Europe; Aldo Grasso, critico televisivo del Corriere della Sera. Su questo tutti d’accordo, perché tutti, da Grasso a CDO, hanno il sospetto che la notizia delle post verità sia leggermente sopravvalutata.
Quanto al resto, al futuro, si va più coi piedi di piombo: nessuno può dire con certezza quale sarà il futuro della televisione tra due, cinque, figurarsi dieci anni. E non perché dipenda, per Mediaset, da Bolloré (di questo, diritto a non rispondere), ma perché, come dice Soldi: “Basta guardare quel che accade nei paesi nordici: la tv scende, Netflix sale, la lingua inglese si fa largo, la fibra è forte. C’è una sempre maggiore frammentazione di attenzione, non è più solo tv, ma è ‘total video’. In Italia siamo indietro, ma arriverà anche da noi”. I fantasmi di Banqo, sul palco, sono Netflix e i padroni dei nuovi device. Ma aleggiano, eccome, su quella certezza che la televisione del domani assomiglierà sempre di più a una playlist, un consumo in crescita, ma personalizzato e parcellizzato. Dunque che fare? Dice Grasso che il problema dei campioni nazionli, Rai e Mediaset, non è di linea editoriale ma industriale: per cultura aziendale (Rai) per forza economica (Mediaset) sono rimasti indietro. Non hanno più la capacità di fare le belle grandi produzioni: che infatti sono sempre più spesso esternalizzate. Risponde CDO che proprio questo sta provando a fare, decentrare, puntare su quello che è specifico del servizio pubblico: informazione, sperimentazione, meno Auditel.
E l’informazione digitale, “su cui siamo indietro”, ma è il centro del futuro piano editoriale. Dice Confalonieri che è anche questione di soldi, in un mercato che sui sei canali generalisti perdono contatti e introiti, e il cui “i programmi li decidono i contabili”. Dice Soldi che il futuro sarà una polarizzazione tra canali “verticali, di nicchia, playlist appunto. E alcuni programmi ‘devi vedere’: sport, grandi eventi, certe fiction. Ciò che è in mezzo sparità”. E soprattutto, per capire da che parte stare, è necessario cambiare approccio: capire su quali device indirizzare l’offerta, capire cosa cercano, come consumano, cosa vogliono i diversi pubblici nei loro “content moment” quotidiani. Già, “profilare” i telespettatori, questo è il futuro. Soldi lo sa, lo sapranno in Rai? Il gran vecchio Fidel lo sa meglio di tutti.
Il video integrale del convegno organizzato dal Foglio lunedì 30 gennaio 2017
Intrattenimento del futuro