Il direttore generale della Rai Antonio Campo Dall'Orto (foto LaPresse)

Il Nazareno riparte dalla Rai

Redazione

Campo Dall'Orto lascia. Perché a Renzi e Berlusconi serve una mossa non solo elettorale

Antonio Campo Dall’Orto ha rimesso il suo mandato di direttore generale nelle mani del ministro Pier Carlo Padoan. Entro massimo quindici giorni, espletati i passaggi burocratici, arriveranno le dimissioni ufficiali. E insomma si conclude così, anche dal punto di vista formale, la breve e tormentata stagione in cui la politica e il sistema Rai hanno rifiutato ogni ipotesi di cambiamento. Come più volte scritto da questo giornale, passeranno anni, se non decenni, prima che possano riproporsi le condizioni perché la televisione di stato, il carrozzone da dodicimila dipendenti sospeso tra servizio pubblico e mercato, possa ritrovare l’occasione di liberarsi dal giogo dei partiti e dalla soma d’inefficienze e contraddizioni che la fanno pericolosamente somigliare a una grossa Alitalia. Ma se la Rai è la metafora d’Italia, e se dunque il renzismo è andato a sbattere prima a Viale Mazzini che al referendum costituzionale del 4 dicembre, adesso che si apre una stagione di larghe intese nazareniche tra il segretario del Pd e Silvio Berlusconi, è di nuovo dalla Rai che questa intesa avrà inizio. Gli ultimi quindici giorni di Campo Dall’Orto saranno dunque il limite di tempo che Berlusconi e Renzi avranno per individuare un management condiviso (e che speriamo sia scelto non solo sulla base di criteri pre-elettorali). Non sarà più l’idea di una rivoluzione moderna nell’azienda paludosa, ma incarnerà lo spirito del tempo politico: tempo proporzionalista, di grandi coalizioni e di accordi bipartisan. La storia e la cronaca ci dicono che se qualcosa funziona alla Rai, poi funziona anche fuori.