Il paradigma Cremonini

Redazione

Uno sketch diventa un attentato alla salute dell’etica pubblica. Calmarsi, no?

Non riconosceremmo una battuta neanche se venisse a cercarci sotto casa avvolta in un’autocertificazione timbrata dalle autorità competenti – “Questa è una battuta, rida pure, non s’offenda, per carità, nessuno si farà male”. Più malmessa risulta la riconoscibilità della parodia, visto poi che i parodiati battono i parodianti. Cesare Cremonini questo ha fatto, l’altra sera da Cattelan: ha parodiato il fissato campanilista, l’italiano che tutti abbiamo in famiglia, quando ha detto: “La mia donna delle pulizie si chiama Emilia, no, non è vero, lei è moldava e io ho preteso in onore della mia terra di chiamarla Emilia perché voglio chiamare mia figlia Emilia e ognuno dovrebbe chiamare le persone come crede, soprattutto quelle che entrano in casa propria”. 

 

 

 

A questo punto, Cattelan è intervenuto: “Ma sono pagate però!”. E Cremonini ha risposto: “Sono pagate e quindi si possono far cambiare il nome”. Ai brigatisti dell’accortezza, indignati più di ieri meno di domani, quello di CC è parso un ignominioso concione classista, razzista, maschilista, sessista e post colonialista. La lettura dei patibolari: questo privilegiato maschio bianco pensa di possedere una sua dipendente tanto da poterle cambiare il nome, imponendoglielo, e va a raccontarlo in un salotto televisivo dove è spalleggiato dal conduttore, un altro maschio bianco privilegiato, che non solo non lo ferma, non prende le distanze, ma lo incalza. La reazione dei patibolari: basta ironizzare su tutto, è finito il tempo in cui si poteva dire qualunque cosa fregandosene delle offese, e della perpetrazione degli stereotipi razzisti a esse imputabile. Uno sketch comico è diventato così un attentato alla salute dell’etica pubblica. CC, allora, ha pubblicato un video in cui balla con la signora, che dice quanto bene gli vuole, e quanto bene lui la tratta: e questo sì che è razzista, ma su implicito mandato dei brigatisti dell’accortezza, per accondiscendere i quali non si può che discriminare l’intelligenza.