editoriali
“Report” e il giornalismo sporcificante
Domenica è andato in onda un assalto di carattere personale contro Antonella Giuli, poi costretta a rivelare la malattia di suo figlio. Una figuraccia per il programma di Ranucci, che però non stupisce, visto il metodo "giornalistico" seguito: la violenza sulle persone e il voyeurismo torbido
Conosciamo lo stile “Report”, la violenza fatta sulle persone e il voyeurismo torbido, e dunque non ci siamo stupiti. Ma domenica è andato in onda un assalto di carattere personale su Rai 3 in prima serata contro una donna, Antonella Giuli, non famosa, non ricca, non potente, il cui rilievo pubblico è abbastanza trascurabile ma che ha evidentemente la sfortuna di essere la vittima collaterale di un assalto brutale (e dalle ragioni a dire il vero non precisamente limpide) che “Report”, la Verità e Dagospia, la nuova trilateral dell’informazione, stanno conducendo dal momento della sua designazione contro il ministro della Cultura Alessandro Giuli.
La tesi di “Report” e dei suo fratellini è che la sorella del ministro, che lavora all’ufficio stampa della Camera dei deputati, sarebbe una assenteista che impiega l’orario di lavoro per “servire” Fratelli d’Italia e in particolare Arianna Meloni di cui è amica da anni. La signora Giuli ha risposto con una lettera pubblicata dal Corriere della Sera che sì, in effetti, le capita di assentarsi talvolta dal lavoro perché – ha rivelato suo malgrado – usufruisce della legge 104 in quanto ha un figlio gravemente malato, di una malattia “curabile ma irreversibile”.
La figuraccia di “Report” e dei siti “scagnozzi” che fanno da megafono a questa campagna di fango è di livello alfa, insomma altissimo. Ma, lo ripetiamo, non ci stupisce. Conosciamo questo genere di “giornalismo” che guarda dal buco della serratura, mira a sporcificare le persone incurante delle loro vite e persino del rispetto dei princìpi di continenza e veridicità dei fatti. Va così. Non da oggi. E nemmeno questa guerra sozza contro Giuli finirà qui. Anzi, se fossimo nei panni della nonna e della zia del ministro ci cominceremmo a preoccupare. A chi tocca dopo?