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Cosa fa dell'immigrazione un tema così emotivo? Sfiducia culturale e demografia

Redazione

Il dibattito aperto in America è il segno di una paura più grande che ha a che fare sia con la cultura sia con l’economia

"Cosa ha reso l’immigrazione un tema così emotivo, specialmente tra i repubblicani?”, si chiede Dan McLaughlin sulla National Review. “Per quali ragioni la notizia della ‘carovana’ ha dominato la vigilia delle elezioni midterm? Perché dovremmo vedere gli attraversamenti dei migranti al confine come “un’emergenza nazionale”, o avere lo shutdown a causa del muro? Non è solo colpa di Donald Trump; la sua ascesa politica è stata sia il risultato che la causa dell’intensità crescente della questione migratoria. Puntare il dito contro il razzismo o la xenofobia non è una spiegazione adeguata, non identifica le ragioni per cui la situazione attuale è diversa da quella di dieci o venti anni fa. Per capire le ragioni del cambiamento, dobbiamo capire le cause più profonde del problema.

 

L’immigrazione è sempre stata un tema secondario nella politica americana. La legislazione a Washington o le consultazioni popolari in California sono state al centro del dibattito, ma l’immigrazione non è mai stata un argomento centrale nella politica nazionale. La moderazione e il compromesso non sono stati fatali per dei politici repubblicani come George W. Bush o John McCain, mentre alcuni candidati democratici come Hillary Clinton nel 2008 o John Kerry nel 2004 hanno cercato di apparire cauti e moderati. L’odio contro i migranti non è stato causato dall’attività dei terroristi internazionali; la rabbia è rivolta verso gli immigrati ispanici e asiatici, che però non hanno nulla a che fare col terrorismo. Il tema è diventato rilevante dopo l’11 settembre, quando la guerra al terrore era il tema dominante della politica americana. Io penso che ci siano tre possibili risposte, che vanno valutate nel complesso perché nessuna da sola spiega il fenomeno. Innanzitutto i fatti: l’America oggi ha una popolazione dei migranti molto numerosa, che è cresciuta stabilmente negli ultimi decenni. Secondo, il clima emotivo: abbiamo perso l’autostima culturale per continuare ad accogliere i nuovi arrivati e trovare loro un collocamento nella nostra cultura. Questa dinamica si riflette ed è nutrita dalla crisi demografica dei nativi americani. Terzo, la natura della divisione politica spinge le persone politicamente attive ad avere un’ossessione con la demografia. Per andare oltre i numeri, è importante sottolineare che il dibattito sull’immigrazione è il segno di una paura più grande che ha a che fare sia con la cultura che con l’economia. Gli americani oggi hanno una crisi di fiducia nella nostra identità e nel nostro futuro. Quando le persone sentono che la loro patria non è più nelle loro mani, si preoccupano che qualcun altro possa scavalcarli. Questo è evidente dai toni isterici che si registrano nelle conversazioni sull’immigrazione: non c’è solo paura del crimine, dei ghetti e degli scontri linguistici e culturali; si parla addirittura di “invasione” o, peggio, di “genocidio bianco”.

 

Una cultura che ha fiducia in sé stessa e un’economia vibrante hanno poco da temere dagli immigrati. In un’America che doveva ancora popolare la sua frontiera occidentale e in cui l’economia era in rapida ascesa, le onde migratorie tra il 1870 e il 1914 erano più un’opportunità che un problema malgrado poche tensioni improvvise, come la legge che escludeva gli immigrati cinesi o quella anticattolica di James G. Blaine.

 

L’America post boom economico ha liberalizzato le leggi sull’immigrazione nel 1965 senza pensare alle conseguenze dannose, e Reagan ha concesso un’amnistia nel 1986. Nel mezzo, abbiamo avuto i malinconici anni 70 – ma come abbiamo notato, la popolazione nata all’estero era meno numerosa allora, e la generazione dei Baby Boom stava per entrare nei primi anni di formazione. Solo nella nostra epoca si sono sommati tre fattori diversi tra di loro: un numero alto di residenti americani nati all’estero, una crisi demografica tra i nativi americani, e una profonda sfiducia nel nostro futuro.

 

Il basso tasso di natalità dell’America – ancora non ai livelli dell’Europa e del Giappone – ci rende più vulnerabili alle paure sull’immigrazione di massa. Agli americani piace pensare di essere immuni a tutto questo, ma il tasso di natalità dei cittadini statunitensi nel 2017 è caduto al livello più basso degli ultimi trent’anni. Invece, il tasso di nascite da genitori immigrati è il doppio della loro incidenza sulla popolazione americana. Un quarto dei bambini americani hanno almeno un genitore nato all’estero”.

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