recensioni foglianti
Jesus' Son
Denis Johnson
Einaudi, 104 pp., 16 euro
Non avevo mai saputo, mai immaginato nemmeno per un istante, che potesse esistere un posto per gente come noi”. Siamo tutti figlio di Dio. Anche i disgraziati, i feriti a morte, i vigliacchi e gli eroinomani, gli strafatti, i ladri e i traditori, gli alcolisti, i bestemmiatori. Il protagonista degli undici racconti di Jesus’ Son, il libro di Denis Johnson pubblicato per la prima volta nel 1992 e tradotto in italiano da Silvia Pareschi, è un uomo che vive il giorno in attesa della notte, trascorre le ore di luce in cerca di soldi per sballarsi e perdere coscienza di sé e del mondo disperato che gli vive intorno. Di solito vaga per le strade fino al mattino, quando i bar alzano le serrande. “Se proprio mi veniva da riflettere sul senso della vita, al massimo arrivavo a considerarmi la vittima di uno scherzo”. Tutto procede in disordine, inesorabilmente sull’orlo dell’abisso. Non esiste luce e non esiste gloria in nessuna delle biografie dei personaggi, soltanto cuori squarciati e infelici che procedono per inerzia e perché non c’è alternativa. “Facevamo l’amore a letto, mangiavamo bistecche al ristorante, ci bucavamo al cesso, vomitavamo, piangevamo, ci bucavamo, ci imploravamo, perdonavamo e promettevamo il paradiso a vicenda”. Ma l’amore sotto questo cielo è una delle tante promesse impossibili da mantenere, al suo posto è più facile provare “un senso di solitudine così forte che schiaccia i polmoni, il cuore e tutto il resto”. Chi è abituato a frequentare un certo tipo di locali ha il preciso desiderio di abbandonare il proprio corpo, di rimanere nudo davanti ai propri demoni. “Qui si riuniscono le anime che si sono ferite a vicenda. Lo stupratore incontra la vittima, il figlio rifiutato ritrova sua madre”. In uno di questi nightclub, il protagonista va in cerca di Angelique, una danzatrice del ventre molto giovane e molto fragile. Ogni sera anche lei aspetta paziente che qualcuno le offra dei soldi e poi la distrugga. “C’era una parte di lei che non aveva ancora lasciato nascere perché era troppo bella per quel posto”. La vita imbruttisce tutti, sporca, incattivisce, fa venire il fegato marcio inutilmente. Nei racconti di Johnson, due volte finalista al premio Pulitzer e vincitore del National Book Award con il romanzo Albero di fumo, Dio sembra un folle insensato, il mondo una periferia desolata in cui non esiste salvezza e nemmeno perdono. Eppure, un giorno, dopo aver esagerato un’altra volta con l’eroina e avere un’altra volta rischiato di morire, il figlio di Dio si risveglia e scopre di essere ancora vivo e ancora intero, un sopravvissuto: “Ero contentissimo di non essere morto. Ero sicuro di essere qui, in questo mondo, perché non potevo tollerare nessun altro posto”. Ci si autoassolve, ognuno sopravvive come può, è impossibile prendersi sul serio. I figli di Dio sono tutti personaggi minori e sgangherati, a volte fanno piangere, a volte ridere e commuovere. A proposito dell’autore, un giorno Jonathan Franzen ha detto: “Il Dio in cui voglio credere ha la voce e il senso dell’umorismo di Denis Johnson”. (gi.me.)
JESUS' SON
Denis Johnson
Einaudi, 104 pp., 16 euro